Sharing economy e sistema educativo inclusivo
Cosa è la Sharing economy e quali sono le sue caratteristiche principali
Proviamo ad immaginare di vedere rivoluzionate le nostre attuali abitudini laddove, per esempio, in vacanza, invece di andare in albergo si andasse a casa di persone che vivono nella città da visitare, scegliendola tra tante. Invece di comperare una macchina da usare solo per poco tempo, la noleggiaste per il tempo che serve, magari anche da un vicino di casa. Invece di comperare per i bambini tutto ciò che riguarda loro, come passeggini, culle, seggiolini, eccetera (sapendo di usarli per breve tempo), li noleggiaste per il periodo necessario. E lo stesso dicasi per i giochi, i giocattoli, gli attrezzi da lavoro da usare per breve o pochissimo tempo. Oppure, invece di comperare l’attrezzatura da neve da usare soltanto una settimana l’anno, prenderla in prestito (affitto) da chi la condivide. Oppure ancora, invece di andare a teatro a vedere uno spettacolo bello ma con le solite modalità, ci fosse una famiglia accogliente che ospitasse nel proprio salotto una compagnia di attori. La Sharing economy, anche conosciuta come Economia collaborativa o di condivisione, si interessa di tutti questi aspetti e rappresenta un fenomeno economico mondiale laddove, grazie ad internet e ad un ecosistema di piattaforme informatiche costruite per soddisfare determinati bisogni, si consente di mettere in contatto persone che cercano un prodotto o un determinato servizio (ma anche informazioni, spazi, tempo o competenze) con coloro che lo offrono, senza altri intermediari se non la piattaforma stessa.
Questa breve presentazione, sicuramente non esaustiva, permette di evidenziare alcune delle caratteristiche più importanti che stanno alla base di questo modello economico:
- sono le persone e non più le aziende a possedere i beni o i servizi che vengono offerti;
- una piattaforma informatica consente la condivisione di una risorsa e, quindi, la soddisfazione di un bisogno;
- la condivisione di risorse personali avviene tra individui che generalmente non si conoscono e che, quindi, necessitano di modalità efficaci per testare l’affidabilità degli interlocutori.
Sono i singoli individui a possedere i beni e i servizi offerti
Il contesto in cui si sviluppa questa nuova forma di economia, fa emergere che è alimentata quasi esclusivamente dai singoli individui che sono interessati a condividere una risorsa personale, materiale o immateriale che altrimenti risulterebbe essere inutilizzata o sottoutilizzata. Quindi, se parliamo di singoli individui che possono essere interessati, per esempio, ad affittare per brevi periodi una stanza di casa propria a turisti oppure fornire un passaggio in auto avendo a disposizione un posto libero, o mettere a disposizione competenze e conoscenze in determinati settori del sapere, questo avviene nell’ambito di una comunità sempre più crescente.
La tecnologia e le piattaforme informatiche: elementi imprenscindibili
E il concetto di comunità ci introduce all’analisi del secondo punto, a proposito del quale possiamo osservare che non è la piattaforma informatica a possedere le risorse che rappresentano il suo “core business”, ma sono i vari utenti che costituiscono la comunità di prosumers (ovvero dove ciascun utente può essere sia produttore di servizi che consumatore, a seconda dell’esigenza), ad essere i proprietari dei beni. In definitiva la gestione della piattaforma informatica deve concentrare tutta la sua attenzione al governo della community che la utilizza e alle eventuali problematiche di accessibilità e sicurezza. Per citare l’esempio già introdotto della piattaforma internazionale che mette in contatto gli utenti iscritti che offrono passaggi con la propria auto con chi acquista il passaggio (il servizio si chiama Car pooling e Blablacar è il nome della piattaforma oramai conosciuta benissimo anche in Italia che, in estrema sintesi, permette di condividere la risorsa inutilizzata, ovvero i posti liberi nell’auto). Stiamo parlando della economia della condivisione che, in assoluto, non è sicuramente un fenomeno nuovo e neanche recente. Quello che ha permesso di allargare a dismisura il bacino di utenza, rilanciandone i principi e creando un mercato non solo locale e limitato (come poteva essere osservato in passato) ma mondiale, è stato lo sviluppo e la diffusione oramai capillare degli smartphone insieme ad un sempre migliore ed efficace sviluppo di piattaforme digitali e app.
La fiducia, elemento indispensabile per il successo
Ma come fanno gli utenti di una piattaforma di condivisione ad avere fiducia degli interlocutori a cui sono interessati per acquistare o fornire un prodotto/servizio senza conoscerli? Per ciascun utente di una qualunque piattaforma online, è proprio la reputazione digitale della piattaforma stessa ad attestarne o meno il successo. Tale reputazione ovviamente investe anche i singoli appartenenti alla comunità di iscritti e viene testimoniata e resa evidente attraverso il sistema di feedback e recensioni rilasciati dagli altri utenti. E l’essere di volta in volta sia utilizzatori che produttori sottoposti ad un giudizio del proprio operato, incrementa il senso di responsabilità e il rispetto che va a tutto vantaggio del servizio/prodotto offerto.
I settori coinvolti
Prima di proseguire, va fatta una premessa: il contesto della economia della condivisione ha avuto una notevole espansione negli ultimissimi anni e quindi sono anche recenti i tentativi di regolamentazione di cui ci si sta occupando sia a livello europeo che nazionale. Al momento i vari paesi europei – Italia compresa – stanno cercando di regolamentare opportunamente questo fenomeno emergente e risale proprio al giugno 2017 una risoluzione del Parlamento europeo che affronta il problema in chiave comunitaria. Questo significa che anche terminologia ed approcci sono in evoluzione. E questo discorso vale anche per il concetto di prosumer appena introdotto: nato dalla fusione dei vocaboli inglesi “producer” (produttore) e “consumer” (consumatore), come per la Sharing economy in generale: anche in questo caso parliamo di un concetto innovativo e, comunque, importante a tal punto che anche il Parlamento europeo ha approvato la richiesta di inserire nella normativa Ue la sua definizione. A livello mondiale la Sharing economy rappresenta una realtà in costante crescita nel cui sviluppo sono stati coinvolti pressocchè tutti i settori economici e che si arricchisce ogni giorno di nuove iniziative. I maggiori successi si possono identificare nel settore dei trasporti con un proliferare di termini o sigle che corrispondono a relativi servizi quali car sharing (la condivisione di auto), car pooling (passaggi con auto), tir sharing (condivisione di TIR), boat sharing (condivisione di posti in barca), bike sharing oppure nel settore dell’home sharing (la condivisione di case o anche di singole stanze) o l’home restaurant (privati che a casa propria organizzano della cene per clienti sconosciuti della piattaforma stessa). Enjoy, Airbnb e Gnammo sono i nomi a cui fanno riferimento le piattaforme informatiche più conosciute, ciascuna rispettivamente nel singolo settore indicato. Ma la fantasia e l’osservazione delle esigenze anche non necessariamente evidenti, ha consentito la creazione di piattaforme che prevedono la condivisione praticamente di qualsiasi cosa. Possiamo avere bisogno di qualcuno che ci dia una mano per esempio ad imbiancare casa o a risolvere un problema tecnologico (Croqqer, Vicker o Timerepublik), affittare un ufficio per un breve periodo (Ufficio temporaneo, Whataspace, Regus), condividere le attrezzature sportive che usiamo poco (Sharewood), condividere attrezzi o macchinari da lavoro tra privati (Getable, LocLoc), sono solo una minima parte di iniziative che sono state realizzate utilizzando i criteri della Sharing Economy.
I servizi di condivisione per il sistema educativo
Così come per gli altri settori fin qui illustrati, anche nell’ambito educativo possiamo annoverare diverse piattaforme e applicazioni che si rifanno ai criteri dell’economia collaborativa, con la specificità che nel contesto educativo potremmo essere più portati a parlare di Portali didattici o Social network didattici che hanno, ovviamente, come utenti sia docenti che allievi che si comportano da prosumer condividendo: lezioni, appunti, materiali di ogni genere rivolti agli studenti pubblicati dagli stessi studenti; materiale didattico pubblicato da insegnati per studenti e, infine, lezioni di insegnanti per altri insegnanti in giro per il mondo.
La “sharing school”, se vogliamo così definirla, si colloca, peraltro, perfettamente in linea con il concetto di “didattica capovolta” e di “flipped classroom” che oggi rappresentano la vera realtà dell’inclusività globale, visto che, la Legge 107 si riferisce ad un’inclusività rivolta a tutti i fruitori della scuola e non più, come in un recentissimo passato, solo a studenti diversamente abili o Dsa o Bes. Esempi di piattaforme interessanti sono: Oilproject, portale didattico 2.0 dove trovare lezioni video o testuali su qualsiasi argomento e materia e il suo strumento collaborativo WeSchool, dedicato agli insegnanti e ispirato alle dinamiche dei social network e alle piattaforme di e-learning. I MOOC (Massive Open Online Course), formazione online in modalità e-learning fornita da tantissime piattaforme nazionali e internazionali quali Eduopen, Udacity, Coursera, Emma, OpenUpEd (Uni Nettuno), Iversity, Trio, Skillbros, LifeLearning giusto per citarne alcune. Teach4Learn è una piattaforma strettamente legata al concetto di mutuo aiuto dove si barattano lezioni private, utilizzando come moneta di scambio i teachcoin del valore convenzionale di 1 ora. Tutti gli utenti sono studenti e tutti sono insegnanti, poiché in questo sito si scambia conoscenza. Altre piattaforme, non sempre gratuite, che lavorano sulle ripetizioni online sono Manabù, DocSity mentre sulle piattaforme Skuola.net e Studenti.it gli studenti vendono appunti e altro materiale didattico ad altri studenti. Consideriamo, infine, una piattaforma che permettendo la condivisione di una risorsa (intellettuale, quindi immateriale) quale può essere una lezione elaborata da un docente, metta in contatto diversi colleghi docenti che condividono risorse di qualità. Questo metodo consente la condivisione di buone pratiche, oltre che la possibilità di un loro miglioramento. Infatti, quale altro modo può essere realmente efficace rispetto alle revisioni e raccomandazione dei peer, ovvero degli insegnanti che l’hanno effettivamente utilizzato e verificato che funziona? Un esempio è TeacherPayTeachers https://www.teacherspayteachers.com/, piattaforma che consente a insegnanti ed educatori di vendere e scambiarsi lezioni, suggerimenti e modalità per coinvolgere sempre più i propri studenti. Si può accedere a prodotti didattici innovativi classificati per età degli allievi, per tipologia di disciplina inclusi i bisogni speciali. La forza di tutto ciò è data dal fatto che l’esperienza e i metodi di un bravo docente, ad esempio tedesco, possono essere riutilizzati altrove nel mondo da chiunque altro, ovvero un condensato di good practices a disposizione di tutti. Conferma Paul Edelman, il fondatore della piattaforma, “I piani di lezione [venduti su TpT] funzionano così bene perché sono stati creati da docenti veri che hanno reale esperienza in classe!”. Un’altra piattaforma con gli stessi obiettivi è EdSurge https://www.edsurge.com/ .
Conclusioni
La scuola cambia col mondo e non può essere diversamente, poiché rischierebbe di non riuscire a portare avanti il proprio compito educativo e formativo. La sharing economy, dunque, va vista come una possibilità di crescita ed innovazione per tutti i docenti, quale che sia la loro formazione ed il grado di scuola di appartenenza, ripercuotendosi positivamente sull’attività didattica e sul rapporto con i propri studenti.
Nicola Fasciano
(estratto dell’articolo pubblicato sul numero di settembre 2017 del trimestrale “Bes e Dsa in classe”, ed. Forum Media srl)