Da una vita in bianco e nero ad una vita a colori
Intervista ad Alessia Balucanti
Proseguono le interviste a persone che hanno saputo reinserirsi brillantemente nel mercato del lavoro, alle quali abbiamo chiesto di raccontarci la loro esperienza (se desiderate rileggere le precedenti interviste cliccate qui sui rispettivi link: Michele Muscillo , Conchita Salas , Ursula Bonetti , Donato Pisciotta , Maurizio Piccinetti , Livia De Stefano , Marco Montefalcone e David Casabona). Oggi Vi proponiamo una storia davvero speciale, che può essere di esempio ed ispirazione per molti di noi.
Puoi dirci in poche parole chi sei e cosa fai?
Mi chiamo Alessia Balucanti, vivo a Roma e oggi sono un’apicoltrice e una piccola imprenditrice. La mia micro-realtà si occupa esclusivamente di apicoltura in tutte le sue sfaccettature, dall’allevamento delle api alla vendita degli sciami, dalla produzione di miele e altri prodotti dell’alveare ai laboratori didattici per bambini, dalla formazione tecnica per adulti all’organizzazione di incontri per promuovere la diffusione di una cultura alimentare consapevole e sostenibile.
Qual è stata la motivazione principale che ti ha portato ad aprire una tua attività autonoma?
E’ stato il senso di totale insoddisfazione (e il conseguente desiderio fortissimo di rivalsa) vissuto nei precedenti venti anni di lavoro in una realtà molto distante da quella attuale: sono cresciuta, professionalmente parlando, in uno storico istituto cinematografico che ha costituito per decenni un’eccellenza nella cultura di questo Paese e che a un certo punto ha finito per diventare uno dei tanti parcheggi di personale; dietro ad un’immagine pubblica prestigiosa, all’interno si percepivano in maniera nitida il vuoto di contenuti, le contraddizioni e le storture di un sistema lavorativo paralizzato, il cambio di rotta verso altri interessi che non fossero quelli legati al ruolo storico istituzionale, la volontà di provocare uno stato d’inerzia. Nulla di diverso da quello che stava accadendo nel resto del Paese: un sistema appiattito, cieco e iniquo, che fagocita sé stesso e annienta le coscienze, nel quale le capacità e lo spirito di iniziativa possono diventare dei disvalori.
Per anni mi sono sentita derubata di ogni motivazione, spogliata di qualsiasi entusiasmo, gettata nella rassegnazione di un futuro – lì dentro – senza speranze. La domanda che rimbalzava nella mia testa era la seguente: sarò capace di fare qualcosa fuori da qui? Perché il dubbio sulle proprie capacità è legittimo, soprattutto in situazioni di insoddisfazione protratta nel tempo.
Ciò che vorrei sottolineare è che perdere il lavoro può anche essere una scelta, quando questa è necessaria per salvare sé stessi da una condizione avvilente e svilente. Posso descrivere la volontà del cambiamento come una sensazione fisica, una forte pressione generata da tutto ciò che avrei voluto esprimere e che invece era ancora compresso dentro di me.
Solo con un’attività autonoma avrei potuto sentirmi libera di esprimere le mie idee, mettere in pratica le mie capacità, sviluppare i miei progetti e magari accettare i possibili fallimenti. Perché il fallimento si accetta solo se, nella totale indipendenza di pensiero e azione, crediamo di aver fatto tutto il possibile per evitarlo.
Quali sono le competenze tecniche precedentemente acquisite (sia lavorative che extra lavorative) che ti sono state utili per la nuova attività e quali sono quelle che hai dovuto acquisire o stai ancora acquisendo?
Dopo aver lasciato il mio posto di lavoro “d’eccellenza”, ho lavorato per tre anni in una piccola azienda privata di Milano, sempre nell’ambito di Cinema, Teatro, Televisione ma con una vocazione più commerciale. Passando dal pubblico al privato, oltretutto in una città dai ritmi professionali molto diversi da quelli romani, ho avuto la possibilità di osservare come si costruisce e come può crescere un’azienda, cosa che ignoravo completamente fino ad allora. Quei tre anni sono stati incredibilmente formativi, il mio cervello ha ripreso a funzionare, a pensare, ad esprimersi, a realizzare con successo. Sono uscita come per magia dall’angolino di punizione in cui mi sono sentita mio malgrado relegata per anni e ho riscoperto di avere delle capacità. E allora mi sono domandata perché non applicare quelle capacità ad una passione e ad una esigenza crescente: quella di ricostruire una relazione sana tra il lavoro e uno stile di vita più “naturale”.
In tutti questi anni ci sono stati anche lunghi soggiorni all’estero, quasi sempre in Paesi del Terzo Mondo: viaggi di conoscenza, studio, esperienze, incontri. Tutto ciò ha alimentato la curiosità, la voglia di continuare a crescere, il confronto con le diversità: mi sono accorta che esistono tanti modi di stare al mondo che non implicano necessariamente la rinuncia a sé stessi e alla propria realizzazione.
Quali sono i fattori critici di successo della tua attività e le competenze distintive che hai apportato al tuo business?
Il fatto di essere una donna, inserita in un contesto agricolo molto maschile, e di avere inoltre un background così particolare, costituiscono croce e delizia della mia attività. Se da una parte c’è una certa diffidenza da parte di alcuni “irriducibili” (quelli che producono tonnellate di miele in fusti e che possono pensare che il mio modo di fare apicoltura sia un capriccio da donne annoiate), dall’altra c’è un grandissimo e concreto sostegno da parte di tutti coloro che mi vedono lavorare con sacrificio, passione e fatica fisica. Il successo è dato proprio da questo impegno totalizzante e da un approccio culturalmente più strutturato, che mi consente di comunicare con un linguaggio diverso consentendomi di deviare un po’ da un approccio puramente commerciale. La mia è una piccola attività e le mie produzioni limitate non mi consentirebbero di ritagliarmi una quota di mercato concorrenziale: il valore aggiunto diventa allora l’attenzione alla qualità del prodotto, lo studio di certe dinamiche del mercato globale, la spiegazione e la comunicazione di queste dinamiche ad un “pubblico” capace di coglierne il senso e di farne una riflessione più ampia. Se posso raggiungere determinate persone è perché parliamo lo stesso linguaggio: questo linguaggio spinge ad un cambiamento profondo delle nostre coscienze, e di conseguenza della nostra comunità e della nostra economia. La vendita sul mercato globale la lascio volentieri agli “irriducibili”.
Quali sono le cose che rifaresti e quelle invece da migliorare?
Rifarei esattamente tutto quello che ho fatto, forse anche con gli stessi tempi. Tutto ciò che ho vissuto, anche le situazioni peggiori, hanno comunque contribuito alla mia complessità. Come diceva Totò, “è la somma che fa il totale”: io sono la somma di tutte quelle esperienze, e il tempo del cambiamento ha avuto bisogno di tutti quei passaggi per acquisire concretezza. Da migliorare c’è tanto, ma non ho fretta: sto imparando e continuerò ad imparare, ho scelto la teoria dei piccoli passi, l’idea del miglioramento rappresenta uno stimolo continuo. Per questo spero di non arrivare mai alla perfezione: mi spegnerei.
Quali sono le cose che potrebbe fare Atdal Over 40 per supportare simili iniziative e la nascita di nuove imprese?
Penso alle difficoltà che ho avuto e che continuo ad avere, e le giro ad Atdal Over 40: individuare la normativa di riferimento (contraddittoria, poco chiara e frammentata), muoversi nel labirinto delle carte, capire quali sono gli uffici e le persone preposte a certi incarichi, avere le informazioni e le risposte, fare chiarezza nella confusione della burocrazia. Insomma, sarebbe utile un supporto per capire come interfacciarsi con lo Stato e con i suoi mostri. E magari creare una rete di professionalità condivise, attraverso la quale si possano incontrare le diverse esigenze ed iniziative.
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